Italia-Svezia, spareggio per il mondiale di Russia 2018. Dopo la sconfitta per 1-0 dell’andata gli azzurri devono assolutamente vincere per staccare il biglietto per la manifestazione calcistica più prestigiosa. Dopo la brutta prestazione in scandinavia non si può più sbagliare, e a tenere banco è il toto-formazione. Alla fine, a sorpresa, Ventura in attacco schiera Manolo Gabbiadini, che supera la concorrenza dei favoriti Eder, Insigne e Belotti. Per il giocatore del Southampton sembra essere l’occasione della vita, il treno che passa una sola volta e che può decidere le sorti di una carriera intera. Purtroppo, sappiamo tutti come è finita questa storia nella storia.
Manolo Gabbiadini prima della partita contro la Svezia di lunedì sera, contava solamente 10 presenze in nazionale, di cui una soltanto da titolare contro Malta, nel lontano settembre 2015. Questo score esiguo non era certamente di buon auspicio in vista di una gara cosi delicata come quella contro gli scandinavi e difatti in molti sono rimasti alquanto stupiti nel vedere il nome dell’ex Sampdoria nella lista dei titolari della nazionale proprio nel momento forse meno opportuno. Per Gabbiadini, quella che poteva essere l’opportunità della carriera, si è trasformata presto nell’ennesima partita sbagliata, l’ennesima prova poco convincente nel momento decisivo.
La carriera di Gabbiadini è stata caratterizzata da un leitmotiv ricorrente: essere l’uomo sbagliato nel momento sbagliato. Dopo un anno e mezzo ad altissimi livelli con i doriani della Samp, l’esterno passa al Napoli di Benitez: vive 6 mesi molto positivi, trovando il giusto feeling con il tecnico spagnolo che lo schiera spesso esterno di destra nel suo 4231 per sfruttare al meglio il sinistro affilato del giovane attaccante. Col Napoli sembra poter sbocciare un amore inusuale (lui bergamasco freddo e distaccato in una piazza tipicamente focosa e passionale) ma sincero; tuttavia l’incantesimo che sembra intrappolarlo si manifesta improvvisamente: via Benitez, dentro Sarri e Gabbiadini finisce in panchina a fare il vice-Higuain per volontà del mister che lo vede punta e non esterno. Mentre l’argentino fa segnare il record di gol in una sola stagione della storia della Serie A, per Manolo solo scampoli di partite e 5 reti in campionato.
Tuttavia l’anno dopo la fortuna sembra tornare dalla sua parte: il Pipita va alla Juventus e Gabbiadini si gioca ad armi pari con Milik il posto da titolare, che pare diventare definitivamente suo quando il collega polacco si fa male in nazionale. Purtroppo, l’inizio del riscatto coincide con la rottura finale con la squadra azzurra: da punta Gabbiadini non convince e, dopo l’esplosione di Mertens nello stesso ruolo, decide di lasciare l’Italia per emigrare in Inghilterra, paese che al momento gli ha regalato alterne fortune.
Lunedì si è un po’ ripetuta la storia della sua carriera: buttato nella mischia nella partita più ostica della storia recente dell’Italia, il giocatore non brilla, vuoi per una posizione in campo poco definita, vuoi per la scarsa esperienza internazionale. La sostituzione a metà secondo tempo sa di bocciatura e il giorno dopo lui finisce, incolpevolmente, fra i principali accusati della brutta prima mezz’ora italiana nel match contro la Svezia.
La carriera di Gabbiadini, giocatore di indubbie qualità e dal talento cristallino, che suo malgrado non riesce ad esprimersi al meglio (forse per mancanza di fiducia, forse per essere finito in contesti a lui poco congeniali, oppure per limiti caratteriali o per l’incapacità di chi ha avuto la possibilità di allenarlo di far fruttare i suoi punti di forza), ricorda da vicino la situazione di tanti giovani italiani nati ad inizio anni 90, una generazione di ragazzi smarriti, che non hanno ancora trovato la propria strada, che sono stati costretti ad andare via o a reinventarsi giorno dopo giorno a causa della mancanza di opportunità o per essere stati inseriti nei contesti sbagliati nei momenti meno indicati.
La fragilità emotiva dell’attaccante ex Napoli, le sue difficoltà nell’essere determinante nei momenti importanti sono caratteristiche che, con le dovute proporzioni, comuni a molti suoi coetanei, vuoi per demeriti propri, vuoi per mancanza del necessario supporto. Anche l’equivoco tattico relativo alla sua posizione in campo può essere usato come metafora della condizione di smarrimento e incompletezza in cui tanti giovani attualmente versano.
Una bellissima pagina facebook, La leva calcistica della classe 68 (che ringrazio per avermi dato lo spunto per questo articolo), parla di generazione-Gabbiadini, una definizione quantomai calzante per descrivere la condizione di una gioventù ancora in cerca della propria stabilità, un po’ come l’attaccante in forza al Southampton è ancora in cerca della sua vera dimensione in campo. Ovviamente non è tutto semplice ed automatico, ma un sinistro come quello del 26enne può ancora regalare tante gioie e forse può anche spezzare l’incantesimo di una carriera al momento non all’altezza di un piede del genere. Questa è la certezza dal quale il giocatore deve partire per ritrovare fiducia. Per quanto riguarda gli altri, quelli della generazione-Gabbiadini, non resta che cercare il proprio personale sinistro, nonostante le difficoltà, nonostante i dubbi, nonostante le incertezze.