Il Napoli di De Laurentiis ha vissuto un nugolo di cicli ben precisi e caratterizzanti, un susseguirsi di step sempre più importanti che in soli 12 anni hanno trasformato una neopromossa rinata dopo un traumatico fallimento in una realtà florida e di vertice del panorama calcistico italiano. Marek Hamsik è certamente il giocatore più rappresentativo di questi cicli che si sono succeduti, un elemento che ha vissuto in prima persona tutti i passaggi fondamentali del nuovo corso della società partenopea, legando indissolubilmente il proprio nome ai colori della città campana.
L’esplosione da interno nel 352 di Reja e la parentesi con Donadoni
2007-2008 – 40 presenze e 10 reti
2008-2009 – 40 presenze e 12 reti
Hamsik era presente già nell’estate del 2006, quella del ritorno in A e delle contestazioni al grido “meritiamo di più”. Da quelle soleggiate giornate e dalla presentazione in infradito con Lavezzi sono passati 12 anni intensi e pregni di avvenimenti, tutti con la sua inconfondibile cresta in mezzo al campo. L’Hamsik del 2006 era un talento emergente, reduce da una grande stagione al Brescia condita da 10 gol e tante prestazioni sopra la media. Pier Paolo Marino fu lesto nello strappare alla concorrenza il giovane slovacco, portandolo a Napoli e ritenendolo perfetto per il 352 di mister Eddy Reja. Proprio il tecnico goriziano, l’uomo della risalita dalla C, è stato il primo vero mentore di Hamsik: l’allenatore che fin da subito capì la portata delle potenzialità dell’interno mettendolo al centro del suo progetto tattico. Dopo il debutto con rete in Coppa Italia contro il Cesena, Hamsik guidò gli azzurri ad una fantastica prima stagione in A post-fallimento, siglando 9 reti e giocando superbamente da interno sinistro nel modulo di Reja, sfruttando al meglio la sua caratteristica migliore: l’inserimento da dietro. Quella versione ancora ibrida ma già scintillante di Hamsik si laureò capocannoniere della squadra e divenne in breve l’elemento più in vista della rosa insieme al già citato Lavezzi.
Il secondo anno con Reja non fu foriero di gioie per il club, mentre il 17 diede conferma delle sue qualità ripetendosi in zona gol e migliorando il livello delle sue prove nel cuore del centrocampo napoletano, dando l’impressione di essere un vero crack mondiale. Non a caso, nel 2009, il Times inserì Hamsik al 12° posto della classifica dei giovani talenti più promettenti del panorama mondiale.
Nonostante le soddisfazioni personali, l’era Reja era giunta agli sgoccioli, con Roberto Donadoni chiamato a dare una ventata di aria fresca dopo i 4 anni con l’allenatore goriziano. Purtroppo, malgrado le buone premesse, l’interregno di Donadoni in riva al golfo è durato poco, finendo per lasciare il posto al nuovo corso griffato Walter Mazzari all’inizio del campionato 2009-2010.
Come detto, il giovane Hamsik “rejano” era un piacere per gli occhi, un talento puro e luminoso, completo sotto tutti i punti di vista e che ha conquistato in poco tempo il cuore dei tifosi azzurri, in particolar modo quelli più giovani che nel 17 hanno trovato il primo vero simbolo azzurro col quale identificarsi dai tempi nel Napoli post-Maradona.
L’apice con Mazzarri
2009-10 – 39 presenze e 12 gol
2010-11 – 49 presenze e 13 gol
2011-12 – 50 presenze e 12 gol
2012-13 – 44 presenze e 11 gol
Ed è proprio con l’arrivo del mister di San Vincenzo che Hamsik forse raggiunge il massimo splendore della sua parabola azzurra: impiegato come falso trequartista nel 3421 del tecnico toscano, il giocatore diventa fenomenale, toccando picchi di qualità e rendimento non più ripetuti. Il Napoli dei tre tenori mazzarriani, con Lavezzi e Cavani a completare un trio che ha fatto epoca, ritorna nel gotha del calcio italiano, sfiorando un titolo e vincendo la Coppa Italia nel 2011-12 contro la Juventus, con il gol del definitivo 2-0 realizzato proprio dal numero 17. L’Hamsik del periodo di Mazzarri è indubbiamente la maggior espressione del talento dello slovacco, un talento moderno che ha trovato l’apoteosi e il compimento nelle ripartenze di quella squadra arcigna e famelica, un terreno di caccia perfetto per un giocatore maestro degli inserimenti e nella freddezza sotto rete. Non a caso in quel periodo sono giunte a De Laurentiis le maggiori offerte per il cartellino del suo gioiello e in città si aveva la netta percezione di avere in rosa uno dei centrocampisti più forti d’Europa.
Il Marek sotto la gestione Mazzarri è forse stato il migliore, un calciatore iconico (alcuni oggi lo definirebbero “dominante”), che avrebbe vinto tutto in qualsiasi altra realtà di primo piano italiana e non. Le progressioni inarrestabili palla al piede, i gol decisivi e un repertorio tecnico vastissimo componevano il prototipo del centrocampista completo, un calciatore in quegli anni vicino ai livelli di maestri del ruolo come Frank Lampard e Steven Gerrard. Durante il corso mazzarriano, Hamsik sembrava anche essere un elemento in grado di superare i propri limiti caratteriali, risultando determinante in numerose partite importanti. Purtroppo, sotto quest’ultimo punto, il futuro capitano non ha poi confermato le aspettative.
Il biennio con Benitez e l’infortunio
2013-14 – 41 presenze e 7 gol
2014-15 – 54 presenze e 13 gol
Dopo l’addio di Mazzarri e l’arrivo del pluridecorato Benitez, il Napoli dopo un lunghissimo corso con la difesa a tre passa al 4231 del mister spagnolo, con Hamsik che da trequartista incursore si trasforma in trequartista classico dietro la punta Higuain. Questa trasformazione frena le performance del neo capitano azzurro, oppresso in un ruolo a lui non congeniale e privato della possibilità di inserirsi da dietro, vero marchio di fabbrica della casa. La situazione si complica con l’infortunio di fine 2013, con il giocatore che resterà fuori quasi 2 mesi e che fisicamente non tornerà più quello ammirato sotto le gestioni di Reja e Mazzarri.
Nonostante le incomprensioni tattiche e i problemi fisici, Hamsik si toglie qualche soddisfazione anche nel biennio benitziano, mettendo a referto 7 reti il primo anno e ben 13 il secondo, confermandosi uno dei migliori elementi della rosa e diventando protagonista della cavalcata in EL conclusasi in semifinale contro il Dnipro. Pur non avendo avuto grande feeling con il mister iberico, Hamsik riesce ad alzare da capitano quelli che sinora restano gli ultimi trofei conquistati dal Napoli: la Coppa Italia 2013-2014 e la Supercoppa Italiana del 2014/2015.
Questa tappa del percorso napoletano dello slovacco è dai più ripetuta quella meno brillante, al netto dei due trofei conquistati e della finale sfiorata in EL. Seppur meno essenziale rispetto al passato e snaturato dalla posizione in campo alle spalle del terminale offensivo, il Marek ammirato del biennio del mister spagnolo resta un elemento di valore, centrale nello sviluppo del gioco e protagonista nelle magnifiche serate di coppa marchiate Benitez. Un giocatore divenuto capitano e uomo simbolo ma che, paradossalmente, con l’investitura della fascia ha perso la sfrontatezza dei primi anni sotto il Vesuvio.
Il triennio sarrista e il patto scudetto
2015-16 – 46 presenze ed 8 reti
2016-17 – 49 presenze e 15 reti
2017-18 – 49 presenze e 7 reti
Archiviato il biennio Benitez, il Napoli abbraccia Maurizio Sarri, tecnico proveniente dall’Empoli e salito alla ribalta per il suo calcio spumeggiante e sempre propositivo. Con l’allenatore di Figline, Hamsik ritorna a giocare da mezz’ala, piazzato sulla sinistra in un centrocampo a tre nel nuovo 433 del mister toscano. In questa posizione, che riporta lo slovacco agli antichi inserimenti, il talento del 17 ritorna a brillare, contribuendo alla grande scalata partenopea conclusa con il ritorno in UCL con gol e assist a grappoli ed una imprescindibilità totale negli schemi del nuovo corso targato Sarri.
La migliore annata sotto la guida dell’ex Empoli è il quella 2016-2017, con Hamsik che segna ben 15 gol (record personale assoluto) e guidando il Napoli ad un campionato ottimale, travolgente ed entusiasmante tutto all’insegna del calcio offensivo, spregiudicato e spettacolare del mister toscano. E’ in questa stagione che nasce il “Sarrismo”, neologismo italiano che sta ad indicare un modo di intendere il calcio molto peculiare e basato sul credo tramandato, fin dai primi anni sui campetti di periferia, dallo stesso Maurizio Sarri. In quest’annata chiusa al terzo posto, Hamsik è capitano e perno portante del gioco sarrista, tornando quasi ad eguagliare i fasti mazzarriani.
L’ultima stagione con Sarri alla guida è storia nota, con lo slovacco che ridimensiona il suo raggio d’azione per spendersi maggiormente in copertura e assumere una valenza più tattica che tecnica; durante il campionato del “patto scudetto”, Hamsik abbandona le velleità offensive per dirigere il gioco con intelligenza, cercando di perfezionare i suoi movimenti con e senza il pallone per essere sempre più utile ed efficiente nella costruzione dell’azione nel meccanismo oliato certosinamente da Sarri. I gol diminuiscono drasticamente, ma l’operato in termini di produttività è enorme, con il giocatore che non salta una partita nemmeno se afflitto da febbre o problemi muscolari. Purtroppo, nonostante gli sforzi e la storica vittoria sulla Juventus, il Napoli di Sarri terminerà il suo ciclo senza trofei, una delusione cocente solo parzialmente mitigata dal raggiungimento del record di gol con la casacca napoletana.
Come già detto, l’Hamsik di Sarri è stato il canto del cigno della carriera ad alti livelli dello slovacco. Con il coach toscano alla guida, il classe 87 è tornato ai suoi livelli, centrando il primato di presenze e di gol in azzurro e mostrando di poter essere ancora essenziale per la squadra anche se in modo differente rispetto ai primi anni di carriera. Il triennio sarrista è condito da momenti irripetibili, di vittorie sfacciate su campi storicamente invisi e di un gioco che ha fatto scuola. Hamsik era il centro di questo corso e la non vittoria del titolo del 2017-18 resta una delle più grandi ingiustizie del campionato italiano. Con Sarri, Napoli è tornata a credere realmente nel titolo ed Hamsik ha contribuito a questo sogno con la sua intelligenza calcistica, cementata in tre anni di duro lavoro. Certo, non sono mancate le amnesie e la certificata inadeguatezza nel ruolo di leader, ma l’apporto del 17 nel triennio sarriano rimane di assoluta importanza.
Il nuovo ruolo con Ancelotti e l’addio definitivo
2018-19 – 19 presenze e una rete
Con l’arrivo di Carlo Ancelotti per Hamsik poteva ricominciare un nuovo corso, con il mister che fin da subito ha messo il capitano al centro del progetto. Ancelotti vedeva in Hamsik l’uomo perfetto da cui far passare il gioco della sua squadra: un calciatore che ha perso lo spunto e la potenza offensiva degli anni migliori ma che poteva ancora illuminare il gioco con la sua visione del campo e le sue trame millimetriche agevolate dalla capacità di calciare con entrambi i piedi. L’evoluzione di Hamsik in regista arretrato poteva, nella visione ancelottiana, allungare la carriera al calciatore e ridare lustro ad un talento speso e sacrificato per il bene della squadra durante il triennio sarriano. Malgrado i buoni, anche se alterni, risultati, il tracollo degli stimoli dopo lo scudetto sfumato dell’anno precedente hanno portato Hamsik a riconsiderare le sue priorità, riflessioni poi maturate nella decisione di abbandonare la squadra a stagione in corso per accettare le offerte provenienti dalla Cina.
Finisce dunque con la partita con la Sampdoria l’epopea di Hamsik al Napoli, un’avventura nata un assolato giorno d’estate e conclusasi 12 anni dopo sotto la guida di uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio. Una vita calcistica spesa a Napoli contraddistinta da un’evoluzione tecnico tattica importante e che ha visto lo slovacco sempre in prima fila nelle scelte dei vari allenatori che hanno avuto la fortuna di lavorare con lui; allenatori, nessuno escluso, sempre convinti nel non privarsi mai, al netto di qualche difetto di personalità, di questo timido slovacco diventato grande insieme al Napoli.